mercoledì 14 marzo 2018

Il tempo delle fragole. Settimana 13 #SaveHumansThursday



 Le fragole sono già arrivate sui banchi di ortofrutta, ma è questa la loro stagione? Coltivate in serra o in campo aperto, locali o importate, biologiche o convenzionali: quali sono le differenze per i consumatori e per l'ambiente?





Sabato mattina, come di consueto, sono andata al mercato assieme dalla mia cagnolona Morgana. Adoro girare tra le bancarelle e parlare con i commercianti (quelli che hanno scelto i loro prodotti, li hanno assaggiati e ne conoscono storia e origine, s'intende). Si impara moltissimo, provare per credere.


E come ogni sabato ci siamo dirette verso il chiosco di ortofrutta di Valbona. Avvicinandomi vengo inesorabilmente attratta dai cestini di fragole che troneggiavano - bellissime - in mezzo a broccoli, cavolfiori, cime da rapa e bietole.

- Valbona, le fragole al 10 di marzo? -

- Sono italiane, vengono dalla Calabria! - e vedendo la mia faccia poco convinta - Eh si! Sono di serra! -

Per poi iniziare ad elencarmi la geografia della raccolta delle fragole lungo lo Stivale e le tecniche di coltivazione utilizzate regione per regione.

La tentazione l'ho avuta, sia chiaro. Fatto sta che mi sono ritrovata a casa con la mia scorta di cavoli, cicoria e arance. Per le fragole, visto che siamo a Bologna, aspetterò fine aprile. Quando arriveranno quelle di Cesena. 



Ma le fragole non si trovano anche a dicembre? Quand'è che arriva il tempo delle fragole e da dove arrivano? 


Dipende. Se vivete a Palermo potrete iniziare a gustarle prima, se, invece, vivete a Bolzano vi toccherà aspettare per qualche tempo. Com'è noto nella nostra Penisola ci sono climi differenti. Ma le variabili sono anche altre: il sistema di coltivazione (in serra o in campo aperto) e la varietà. Esistono infatti incroci con una varietà selvatica, la Fragaria virginiana, la cui fioritura non dipende dal numero di ore di luce della giornata,  che, in virtù di questa caratteristica, fioriscono e fruttificano più a lungo.

E poi ci sono le fragole d'importazione, che in Italia arrivano principalmente da Spagna, Marocco ed Egitto il cui consumo è  aumentato, negli ultimi anni, del 22%. E' da questi Paesi che proviene buona parte delle famigerate "fragole di Natale". Prodotto che, purtroppo, è immancabile sugli scaffali dei supermercati durante l'inverno. 

Secondo i dati FAO riferiti al 2015 la Spagna detiene il primato di produzione in Europa, seguita da Polonia e Italia. Il 27% della produzione italiana - sulla base dei dati ISTAT - avviene in campo aperto, dunque il 73% delle fragole italiane viene coltivata in serra. Dal 2000 ad oggi il nostro Paese ha perso circa il 25% della produzione totale, in compenso le importazioni (soprattutto dalla Spagna) sono aumentate del 22%.

Secondo i dati del Centro Servizi Ortofrutticoli (CSO) in Emilia Romagna, invece, il 60% degli impianti è effettuato in campo aperto e il 40% delle fragole viene coltivato in serra. E' la varietà che determina la scelta tra produzione in serra o in campo aperto. Per esempio le varietà Sibilla (resistente alle patologie dell'apparato radicale) e Aprica si adattano bene anche alla coltivazione in campo. In Romagna la raccolta inizia tra la metà e la fine di aprile (dipende dalle temperature) e prosegue fino a giugno.





Le fragole "precoci" sono coltivate anche in Italia sotto tunnel di plastica che favoriscono la maturazione, nonostante le temperature siano ancora basse. Nel Sud dello Stivale le prime vengono raccolte a partire dalla fine di febbraio, mentre al Nord si deve aspettare aprile. Dopo qualche settimana maturano anche le fragole coltivate in campo aperto che al Nord si trovano da maggio a metà giugno.


Fanno eccezione Trentino e Alto Adige dove la stagione comprende anche luglio e agosto.

L'obbiettivo per il futuro è quello di produrre anche in Italia fragole per ogni stagione dell'anno, inverno incluso, sfruttando le caratteristiche di alcune varietà e le tecniche produttive. Di recente, ad esempio, in Calabria sono state sviluppate produzioni che possono offrire frutti anche a novembre e dicembre. Si tenta dunque di anticipare l'inizio della stagione e di posticiparne la fine, di modo da poter competere con i prodotti importati. A mio parare lo scopo, comprensibilissimo, delle aziende italiane è quello di ridurre le importazioni fuori stagione da Paesi come Egitto e Marocco e le conseguenti perdite economiche per l'agricoltura italiana, peraltro già elevate. E qui interviene il consumatore: abbiamo proprio bisogno di mangiare fragole in inverno? Vivremmo comunque benissimo se in inverno acquistassimo dalla Calabria e dalla Sicilia le arance, peraltro squisite, anziché le fragole. Sono i consumatori a fare il mercato, non viceversa.



Per l'ambiente meglio il campo o la serra? 

by Glysiak
Le colture protette (in tunnel o in serra) vengono utilizzate per proteggere le piante da stress biotici e abiotici, controllare lo sviluppo delle piante e destagionalizzare la produzione (ma vengono utilizzate anche durante la naturale stagione). Le loro criticità, sulla base delle attuali tecnologie, sono connesse soprattutto a:


  • impiego di materiali plastici di copertura e il conseguente smaltimento di ingenti quantitativi di plastica, circa 5.000 kg per ettaro per anno. Abbiamo parlato dei problemi connessi allo smaltimento della plastica qui e qui;
  • il ricorso a impianti di riscaldamento (il combustibile più diffuso è il gasolio) e le conseguenti emissioni gassose nell'ambiente. In Italia viene calcolato che, per la sola climatizzazione, il consumo diretto di energia si aggira sull'ordine di 140.000 TEP (Tonnellate Equivalenti di Petrolio).  In Olanda in serra riscaldata (fuori stagione) vengono rilasciate 800 tonnellate di CO2 per ettaro per anno;
  • difficoltà nello smaltimento dei substrati non riutilizzabili  (come la lana di roccia) e delle soluzioni nutritive non riciclate nelle coltivazioni fuori suolo;
  • uso di maggiori quantità di fitofarmaci (insetticidi, fungicidi ed erbicidi) che avviene sulla base di calendari preventivi. L’impiego di questi prodotti, circa un centinaio di principi attivi autorizzati per coltura, potrebbe creare problemi di ordine tossicologico/ambientale e per il 30/50% vengono dispersi nell'aria;
  • fertilizzanti spesso utilizzati, unitamente all'acqua, in dosi eccessive rispetto ai bisogni della pianta e conseguenti rischi di salinizzazione del suolo e accumulo di nitrati nelle falde. Secondo alcuni studi il 50% di azoto e fosforo somministrati non vengono assorbiti dalle piante, ma vanno ad inquinare gli ecosistemi.

Bisogna tuttavia sottolineare che, rispetto alle colture in pieno campo, l'uso delle serre (se ottimizzate e sottoposte a corretta manutenzione) potrebbe comportare una maggiore efficienza nell'uso dell'acqua. In Nord Europa è stata migliorata di 5 volte l'efficienza d'usa dell'acqua. In una tipica serra mediterranea una coltura di pomodoro utilizza in media 1/3 dell'acqua necessaria per le produzioni in pieno campo. 

La carbon footprint delle fragole (ossia la quantità dei diversi gas serra emessi perché arrivino sulle nostre tavole) varia sulla base dei sistemi di coltivazione utilizzati (tunnel in plastica, serre, campo aperto e utilizzo di diversi substrati) e dalla regione di produzione. I principali responsabili delle maggiori emissioni di gas a effetto serra sembrano essere la produzione e lo smaltimento dei materiali plastici, dei substrati utilizzati e dei pesticidi.

Secondo una studio condotto sulle fragole provenienti dalla Spagna, ad esempio, la produzione è responsabile del 41% delle emissioni,  il restante 59% dipende da trasporto, distribuzione e sprechi domestici.




Km 0 o fragole viaggiatrici?


Il Sustainable Europe Research Institute (SERI) ha condotto uno studio comparativo tra le emissioni di diossido di carbonio connesse al trasporto merci di ortofrutta locale e importata in Austria. Le emissioni legate alla produzione di fragole e al trasporto su strada dalla Spagna sono risultate 38 volte maggiori rispetto alla produzione e  trasporto all'interno del Paese.


Secondo uno studio condotto in Inghilterra una riduzione del 75% delle importazioni di mele, ciliege, fragole, aglio e piselli da Paesi non europei (alimenti trasportati in aereo e naturalmente refrigerati) potrebbe comportare una riduzione delle emissioni di 87 kilotonellate di CO2  equivalenti ogni anno.

Venendo all'Italia, 1 kg di fragole prodotte e trasportate dal Sud Africa in aereo portano all'emissione di 11,7 kg di anidride carbonica. La stessa quantità prodotta e trasportata in Italia comporta, invece, l'emissione di 0,3 Kg di anidride carbonica.

Va detto che il trasporto incide poco sui costi e non è pertanto disincentivato. Il costo per l'ambiente è invece decisamente elevato.




Le fragole biologiche hanno un minore impatto sull'ambiente?

Dipende. L'impatto ambientale complessivo dei vari prodotti va valutato caso per caso. Attraverso il metodo biologico vengono prodotti alimenti con pratiche quanto più sostenibili possibile con l'obbiettivo, tra gli altri, di prevenire la perdita di biodiversità e l'impoverimento del suolo. Tuttavia l'impatto ambientale di un alimento dipende da diversi fattori quali consumo di acqua, energia e suolo, emissioni di gas a effetto sera, uso di pesticidi e fertilizzanti nonché trasporti. 

Se la coltivazione è in serra, poiché fuori stagione, non ci sono vantaggi rilevanti per l'ambiente. Senza contare i trasporti che vengono effettuati su mezzi refrigerati. 



Residui di pesticidi nei prodotti comunitari e non comunitari

Secondo un recente report dell'EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) la maggiore prevalenza di residui di pesticidi al di sopra del Maximum Residue Level (MRL, ovvero il massimo livello di un residuo di pesticidi legalmente accettato nel cibo e nei mangimi) viene osservata nei prodotti importati da Paesi non comunitari. Le fragole sono, tra i prodotti analizzati, quello col più alto tasso di eccedenza rispetto ai limiti fissati.  Questi pesticidi sono tutti autorizzati, il problema è nelle dosi. Si parla, ad esempio, di fragole importate dalla Cina o dall'Egitto (in quest'ultimo caso il 10% dei prodotti esaminati superano i limiti).






Per concludere, anche quando non è possibile acquistare prodotti biologici, ciò che conta è scegliere prodotti:



  • di stagione (quella vera), di modo da limitare l'uso delle serre e i consumi di energia;
  • non imballati in plastica per ridurre i rifiuti e le emissioni di gas serra;
  • a km 0 di modo da ridurre le emissioni inquinanti.


Se volete saperne di più su #SaveHumansThursday, un progetto creato da me e dalla collega e amica dott.ssa Livia Galletti, troverete tutte le informazioni qui.
Seguite gli aggiornamenti sulle nostre pagine Facebook dott.ssa Francesca De Filippis e dott.ssa Livia Galletti.Vi aspettiamo giovedì prossimo! 


Bibliografia



  • European Food Safety Authority - The 2013 European Union report on pesticide residues in food - EFSA Journal, 2015; 13(3): 4038, 169 pp;
  • International Trade Centre UNCTAD/WTO - Airfreight Transport of Fresh Fruit and Vegetables : A Review of the Environmental Impact and Policy Options - Geneva: ITC, 2007. vi, 50 p. Doc. No. MDS-07-136.E;
  • Michalsky M, Peter S - Greenhouse gas emissions of imported and locally produced fruit and vegetable commodities: A quantitative assessment - Environmental Science & Policy, 2015; 48: 32-43;
  • Mordini M,  Nemecek T, Gaillard G - Carbon & Water Footprint of Oranges and Strawberries A Literature Review - December 2009, Federal Department of Economic Affairs FDEA Agroscope Reckenholz-Tänikon Research Station ART Swiss Confederation;
  • Salvato M (a cura di) - Manuale di orticoltura: la serra sostenibile - 2011, P.A.N. edizioni





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